Schena editore – Collana Poche pagine fondata e diretta da Giorgio Saponaro – anno 1999
Vincitore del premio nazionale “Valle dei trulli” anno 2000
In appena cento pagine l’Autore, con grande maestria e straordinario senso della narrazione, mette a fuoco l’avventura tragica degli ebrei nel secolo XX, tra guerre, dispersioni, lotte, follie, separatezze, campi di sterminio, ubbidienze.
Al centro del racconto una favola, quella del Golem, un gigante che l’inventore, il grande rabbi Lowe, comanda con una parola magica, lo shem. Proprio attraverso questa parola magica il Golem cattura ladri e assassini, falsari e truffatori, fa capire la differenza tra il bene e il male, combatte le ingiustizie. Un giorno il Rabbi dimentica la parola magica e il Golem tutto distrugge. Ora riposa sotto il tetto della sinagoga di Praga. Morale: nessuno può ridare vita al Golem come nessuno può disporre della vita degli altri uomini. Tutti siamo nati liberi. Il Golem siamo noi dice l’autore.
Già noto alla critica nazionale per altre prove di successo di narrativa, poesia, teatro e cronaca, Michele Campione è giornalista professionista dal 1959 ed è stato Direttore della sede Rai di Bari -–qui egli ci tiene con il fiato sospeso, fno al messaggio di libertà che chiude la fabula. La giuria ha voluto premiare la sua scrittura agile e accattivante e il suo invito a non dimenticare rivolto ali uomini del terzo millennio.( da motivazione premio Valle dei trulli).
INCIPIT
Sam aveva 65 anni. Era ebreo ed abitava a Praga.
Per la verità il suo nome era Nataniele. Così avevano deciso di chiamarlo i genitori, ebrei anch’essi e discendenti da una stirpe di ebrei che a Praga viveva e lavorava almeno da quattro generazioni.
Il padre aveva avuto nel ghetto una botteguccia che era stata di suo padre.
Un locale piccolo e buio nel quale si ammucchiavano in disordine cappotti usati, braccialetti d’argento, collane di filigrana, pelli di pecora e lenzuola di lino ricamate a mano.
Oggetti in pegno per le piccole somme di denaro che servivano per pagare il medico in caso di improvvise malattie o per celebrare matrimoni e funerali.
Il padre di Nataniele, dicevano i maligni, esercitava anche l’usura e commerciava in pietre preziose. Secondo le dicerie del ghetto, l’apparente umiltà ed il fervore con il quale partecipava ai riti del sabato nella Sinagoga Grande servivano a nascondere un morboso attaccamento al denaro, al dio Mammona come insinuavano alcuni, ed un cuore duro negato ad ogni pietà.
– Ricorda piccolo Nat, era solito dire, che gli ebrei devono obbedire sempre e a tutti. Non solo alla Legge dell’Alleanza e ai precetti del Libro, ma anche a quello che ti viene ordinato dagli altri. Se obbedisci, hai comunque una possibilità di scampo, sempre. E per noi ebrei è importante saper trovare, in ogni circostanza, un modo per uscirne al meglio. L’obbedienza è uno di questi metodi. Obbedire sempre. Te ne ricorderai?
Sam, o meglio Nataniele, perché allora era ancora il piccolo Nat, come lo chiamava sua madre, lo ascoltava con attenzione. Lo guardava fisso e rispondeva ogni volta: Sì padre. Me ne ricorderò.
– Obbedienza. Obbedienza, concludeva invariabilmente il padre, Chi obbedisce è sempre dalla parte della legge.
Sua madre, Sam (lo chiamavano così da quando era tornato dall’America dove era emigrato subito dopo la fine della guerra ed avevano saputo che la pensione –lui sì fortunato- gli veniva pagata in dollari) la ricordava come una donna minuta, esile, dai grandi occhi scuri, sempre silenziosa ma dallo sguardo intenso e deciso. Si chiamava Ruth.
Si era posata giovanissima come si usava prima della guerra e non era stato un matrimonio d’amore.
D’altronde l’amore centrava poco con il fatto che due giovani ebrei si sposassero e mettessero su casa. Era importante che i genitori fossero d’accordo, Che si trattasse di due famiglie rispettabili e timorate di Dio e che tra i due promessi sposi ci fosse l’impegno al rispetto, alla devozione reciproca.
Tutto il resto non contava….